lunedì 8 ottobre 2007

Fatti che non sussistono

Riporto qui per intero un meraviglioso post preso dal blog http://minimokarma.blogsome.com/

ecco qui:

Lambita dal mare, accarezzata dalla brezza e dal sole, circondata dagli ulivi e protetta dallo sguardo buono del Gargano, Manfredonia viveva in un dolce anfratto della storia: con passi leggeri la sua gente la misurava da un capo all’alto, tutto ammirando, di tutto godendo. Solo uno era il cruccio: mancava il sigillo del progresso, il segno dell’avanzamento umano: il dono dell’industria. E l’ebbero, gli stupefatti manfredoniani, la loro bella industria. E non una fabbrichetta qualsiasi, una industria da nulla. No, una gran bella industria. Un petrolchimico, addirittura. Ebbero l’Enichem.
Dai tornanti che portano a Monte Sant’Angelo il turista si volge indietro, oggi, e guarda e ammira l’orizzonte lontanovicino, il mare, e più da presso gli ulivi. A destra è Manfredonia, bianca e pulita, amica sia degli ulivi che del mare. Ma c’è una ferita in tanta bellezza. C’è lo scheletro dell’Enichem - cimitero dei sogni, pietra filosofale che s’è convertita in pioggia d’arsenico.
Quale folle ha sistemato un tale orrore in tanta bellezza? si chiede il turista. Non sa, lui, degli anni Settanta d’una cittadina del Sud. Non sa della disoccupazione, della disperazione. Dell’emigrazione. Quando si propose di sistemare lì quel mostro, pochissimi ebbero da ridire (Bruno Zevi fu tra questi). Quei pochi furono messi a tacere con solidissime argomentazioni. Alla gente l’Enichem portava lavoro, ai politici voti. A tutti portava il progresso, la vita nuova.
Il 26 settembre del 1976 il petrolchimico offre alla popolazione della cittadina uno spettacolo magico. Una nuvola candida candida, dalla quale cade una polvere leggera, una neve fuori stagione, e perciò miracolosa. Quando si apprende che quella polvere è arsenico è troppo tardi. I bimbi ci hanno giocato, con quella polvere bella. Gli operai dell’Enichem l’hanno spalata a mani nude, come se fosse davvero neve. Tutti l’hanno respirata. Molti sono morti di cancro. Molti stanno morendo. Molti ancora moriranno.
Questa cosa che ho appena raccontato è falsa. Non è mai scoppiata la colonna dell’arsenico dell’Enichem, il 26 settembre del 1976. Non è mai piovuto l’arsenico. Soprattutto, non è mai morto nessuno. Non è morto l’operaio Lovecchio, che coraggiosamente raccolse testimonianze sulle responsabilità di quella tragedia. Nessuno si è mai ammalato di cancro. Lo ha deciso oggi un tribunale dello Stato. “Il fatto non sussiste”, ha detto. Non sussistono le responsabilità di coloro che causarono uno dei più grandi disastri ambientali della storia del nostro paese. Il dolore di una città intera non sussiste.
Il progresso non si arresta, e ciò fa parte della sua natura. Nemmeno il compromesso progresso meridionale. E così accanto allo scheletro dell’Enichem, in una zona mai bonificata, altre industrie sorgono. La più grande di queste è Manfredonia Vetro, una fabbrica del gruppo Sangalli. Produce vetro. Produce centottantacinquemila tonnellate di vetro all’anno. Come tale, dovrebbe essere sottoposta a valutazione di impatto ambientale, ma la Regione Puglia chiude un occhio, e il comune di Monte Sant’Angelo rilascia la concessione edilizia senza pensarci un attimo. La storia si ripete, dice Qohelet: come ieri, così oggi. E così sarà domani. Niente di nuovo sotto il sole. Fino a quando, almeno, i fumi dell’inquinamento permetteranno di vederlo, il sole.
Un leggero cambiamento bisogna registrarlo, però, a costo di fare un dispetto a Qohelet. Una volta le industrie inquinavano e facevano ammalare di cancro. Oggi le industrie, consapevoli che l’inquinamento provoca il cancro, danno soldi alle fondazioni che si occupano della cura del cancro. Nel ->sito della fabbrica Manfredonia Vetro fa bella mostra di sé una lettera del più grande oncologo italiano. Dice: “Egregio Sig. Sangalli, La ringrazio personalmente per il contributo che la Sua Azienda ha voluto offrire a sostegno delle iniziative della Fondazione che porta il mio nome. Il mondo delle imprese è, da sempre, un motore indispensabile per il Progresso delle Scienze e il Suo contributo ne è un’ulteriore conferma. […] Mi auguro di poter condividere con Lei, anche in futuro, l’impegno intrapreso dalla Fondazione Veronesi nei confronti del Progresso delle Scienze.” Firmato: Umberto Veronesi.
Veronesi (che è l’unico ancora capace, credo, di scrivere la parola Progresso con la maiuscola) ha ragione: il mondo delle imprese è fondamentale per il progresso delle scienze. Se non vi fossero malati di cancro, non vi sarebbe ragione di studiare il cancro, e le scienze languirebbero, e il professor Veronesi non potrebbe incassare l’assegno del dottor Sangalli.

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